Una relazione psicoterapeutica è un rapporto tra due persone che non ha alcun equivalente in altri rapporti, né di insegnamento o di consiglio ed ancor meno d’amicizia o d’amore.
È una relazione basata su una profonda empatia e sulla possibilità, da parte del terapeuta, di identificarsi nei vissuti dell’altro conservando però allo stesso tempo la propria identità distinta, il proprio mondo affettivo ed un pensiero critico autonomo.
Uno stato quindi che consenta un ascolto “pieno” del mondo dell’altro che, andando al di là di ciò che sembra espressamente comunicato e della apparente banalità del racconto, permetta di cogliere e riconoscere gli aspetti più intimi del non detto, delle emozioni sottostanti, dei bisogni e delle difficoltà presenti ma spesso non pienamente consapevoli, aspetti che possono poi determinare malesseri indefiniti o veri disagi nella vita di ogni giorno.
È una relazione liberatoria che genera una lenta ristrutturazione dei propri vissuti, che assumono nel tempo valenze e significati diversi alla luce di emozioni, pensieri, percezioni, desideri e accadimenti fino ad allora sommersi o soffocati.
Teorie e tecniche sono a tal fine essenziali: da esse non si può in alcun modo prescindere ma nessuna è in sé esaustiva e credo che solo dalla loro integrazione possa nascere una più completa visione della persona, nella complessa realtà delle sue relazioni e della sofferenza generata dalla percezione di un disagio.
Necessarie quindi ma non sufficienti. L’ascolto e la comprensione dell’altro passa anche fortemente dal mondo interno del terapeuta, dal suo avere percorso i tracciati delineati dalle grandi letterature, che hanno raccontato la vita nelle angolazioni più oscure e sofferte, dall’essersi immerso nelle variazioni quasi impercettibili e le sfumature emotive che genera il passaggio di un archetto sulle corde di un violoncello, dall’avere accettato di perdersi nei colori violenti di una tela che svela come nessun’altra cosa la disperazione di una mente, la solitudine di un uomo o la sua ricerca di una accettazione e protezione incondizionata, dalla curiosità autentica di un incontro con volti, abitudini, cibi, architetture, valori, bisogni e religioni diversi da quelli che scandiscono una giornata rassicurante perché uguale a se stessa. Dalla sua capacità insomma di decodifica di sistemi di segni complessi e dalla voglia e dalla possibilità di essere sempre sorpreso e potersi sempre ridiscutere.
Ed è per questo che ogni incontro clinico è prima di tutto un incontro umano, una crescita ed un arricchimento non solo per chi chiede aiuto ma anche per chi ha il compito di ascoltare e sostenere l’altro in quel particolare spazio della sua vita.